La sosta per le nazionali si conferma, ancora una volta, un terreno minato per i club europei. E il Milan, come spesso accade, ne esce con più ferite che benefici. Secondo quanto riportato da Calciomercato.com, i rossoneri sono tra le squadre più penalizzate in Europa insieme al Barcellona, con un bilancio d’infortuni che riaccende il dibattito eterno tra club e federazioni: chi tutela davvero i giocatori?
L’ultimo caso che ha fatto infuriare la dirigenza milanista riguarda Christian Pulisic. L’esterno statunitense è stato schierato dal commissario tecnico degli USA, Mauricio Pochettino, nonostante un fastidio alla caviglia già noto allo staff medico della nazionale. Una scelta che ha aggravato la situazione fisica del giocatore, costringendo il Milan a un nuovo stop forzato in una fase cruciale della stagione.
Una dinamica non dissimile da quella vissuta dalla Francia con Adrien Rabiot, convocato nonostante un problema al polpaccio sottovalutato: sintomo di un cortocircuito gestionale che attraversa trasversalmente le grandi selezioni.
Il tema è noto ma mai risolto: la mancanza di coordinamento tra club e nazionali. Se da un lato gli allenatori internazionali rivendicano il diritto di avere a disposizione i propri migliori elementi, dall’altro le società — che investono cifre enormi in cartellini e stipendi — reclamano una maggiore tutela. Alcuni top club hanno iniziato a reagire: il Paris Saint-Germain, ad esempio, ha negato la partenza di Ousmane Dembélé e Désiré Doué per divergenze con lo staff medico della nazionale francese; il Real Madrid ha richiamato Kylian Mbappé dopo la gara contro l’Azerbaigian, impedendogli di prendere parte alla sfida successiva con l’Islanda.
Il Milan, che nelle ultime stagioni ha pagato un conto salatissimo alle soste, basti pensare agli infortuni di Maignan, Theo Hernandez e Leao in passato, sembra destinato a seguire la stessa strada. Serve una posizione più ferma, una linea chiara che metta al centro la salute dei calciatori e la continuità del progetto tecnico.
Non si tratta di una battaglia contro le nazionali, ma di buon senso. Perché se il calcio moderno impone un calendario sempre più saturo, allora il rischio è che a rimetterci, alla fine, siano tutti: club, federazioni e tifosi.




