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Rivoluzione per i contratti dei calciatori: c’è il nuovo decreto

Una riforma passata forse in sordina, ma destinata a riscrivere l’equilibrio tra calciatori e società sportive. Con l’ultimo Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri, il mondo del calcio professionistico italiano si avvia verso una rivoluzione silenziosa ma potentissima: i contratti potranno durare fino a otto anni, superando lo storico limite dei cinque introdotto nel lontano 1981.

Non si tratta solo di una variazione tecnica. È un cambio di paradigma che potrebbe alterare gli equilibri del calciomercato, il potere contrattuale degli atleti, e perfino le logiche economiche che regolano gli investimenti dei club. L’era della “programmazione lunga” è appena cominciata.

Cosa cambia nei contratti

Per oltre quarant’anni, la legge italiana ha imposto un tetto massimo alla durata dei contratti nello sport professionistico: cinque anni. Una misura pensata per tutelare i lavoratori – in questo caso gli atleti – da vincoli eccessivamente prolungati. Oggi però le dinamiche sono cambiate. Le società chiedono strumenti per progettare a lungo termine, mentre l’industria dello sport si è fatta sempre più globale, competitiva e finanziariamente sofisticata.

Con la nuova norma, i club potranno stipulare accordi fino a otto stagioni. Significa blindare i propri talenti più a lungo, evitare rinnovi annuali estenuanti, e ridurre il rischio di perderli a parametro zero dopo pochi anni di rendimento. In parallelo, sul fronte contabile, gli ammortamenti dei costi di acquisto potranno essere diluiti su otto esercizi, rendendo gli investimenti più sostenibili. Oltre all’aspetto giuridico, la modifica normativa offre un’arma in più sul mercato.

I club italiani avranno maggiore leva nelle trattative, potendo offrire garanzie di durata ai propri talenti e maggior protezione sui propri asset tecnici. Non sarà più così semplice, per un calciatore emergente, liberarsi dopo una stagione di alto livello sfruttando le falle normative: con un vincolo più lungo e sanzioni più chiare per chi rompe gli accordi, il sistema torna a favorire la continuità e la progettualità.

Il rapporto con gli agenti

La riforma non cancella il diritto dei calciatori a cambiare squadra, ma rende più equilibrato il confronto tra le parti. Non basterà più una buona stagione per spingere verso la cessione: ci sarà bisogno di una trattativa, di un’intesa vera, e magari anche di un club disposto a pagare il giusto. In sintesi, una rivoluzione silenziosa ma strategica. Il calcio italiano sta cambiando pelle, e questa volta lo fa partendo dalla base: i contratti.

C’è però un dettaglio che complica la rivoluzione italiana: la FIFA, al momento, continua a riconoscere contratti solo fino a cinque anni. I suoi regolamenti prevedono che un calciatore possa liberarsi dal proprio contratto dopo due o tre stagioni (a seconda dell’età), semplicemente pagando un indennizzo. Nessuna sanzione, nessuna penalità. Un meccanismo pensato per garantire libertà di movimento, ma che nel tempo ha spostato l’ago della bilancia sempre più verso agenti e calciatori.

Con le nuove regole italiane, le società sperano di riconquistare centralità, scoraggiando le rotture anticipate dei contratti e frenando una tendenza che spesso ha visto i club penalizzati, anche dopo investimenti importanti.

Resta da capire come reagiranno le istituzioni internazionali. L’Italia potrebbe spingere per una revisione delle norme FIFA, anche alla luce del fatto che in alcuni Paesi – come il Regno Unito – i contratti lunghi sono già prassi consolidata.

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