Carlo Ancelotti non smette mai di affascinare con i suoi ricordi e le sue parole intrise di classe, umiltà e passione per il calcio. In una recente intervista concessa a RSI, l’attuale tecnico del Real Madrid ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera, concentrandosi soprattutto sulle esperienze vissute con il Milan, club con cui ha scritto pagine indelebili della storia del calcio europeo. Ma non è mancata una curiosa rivelazione su un passato che avrebbe potuto tingerlo di nerazzurro.
Quella volta che sfiorò l’Inter
Da giovane promessa del Parma, Ancelotti fu vicino a vestire la maglia dell’Inter. Un provino con i nerazzurri, in cui si trovò improvvisamente accanto ai suoi idoli Bordon, Canuti, Bini e Altobelli, sembrava potesse segnare l’inizio di una carriera diversa. Ma tutto sfumò, forse per una questione economica: “Si diceva che il presidente del Parma, Ceresini, avesse alzato il prezzo dopo la partita.” Così, quello che sarebbe potuto essere il primo capitolo della storia tra Ancelotti e una Milano a tinte nerazzurre, restò soltanto un aneddoto.
Sacchi, Berlusconi e la rivoluzione rossonera
Il destino aveva altri piani. E la chiamata giusta arrivò dal Milan, spinta dalla volontà di Arrigo Sacchi, che vide in Ancelotti l’uomo perfetto per il suo progetto rivoluzionario. Nonostante i dubbi legati ai suoi infortuni, l’ex centrocampista gialloblù approdò in rossonero. E fu l’inizio di un nuovo modo di concepire il calcio in Italia: “Sacchi cambiò la metodologia. Prima c’erano riscaldamento e partitella, con lui arrivarono possesso palla, tattica, forza e aerobica. Mia madre non mi riconosceva più, ero dimagrito tantissimo!”
Un impatto totale che segnò l’inizio di un’epoca e che si rifletteva anche nei rapporti con i campioni della rosa: “Sacchi era esigente, ma amava il confronto. Anche con van Basten discuteva, ma non si arrabbiava.”
Le notti europee: gloria, lacrime e riscatto

Impossibile non ricordare i trionfi europei con il Milan allenato da Ancelotti. Due Champions League vinte, nel 2003 e nel 2007, che consacrarono definitivamente il tecnico di Reggiolo tra le leggende del club e della competizione. Alla guida di una squadra stellare, seppe affrontare anche i momenti più duri, come la finale di Istanbul del 2005: “Tutto andava bene, poi sei minuti di follia. Ma tecnicamente, è la migliore partita mai giocata dalle mie squadre.”
L’epilogo del 2003 fu emblematico: “Mandai tre difensori a tirare i rigori, perché non trovavo nessun altro. Avevo già tolto Pirlo e Rui Costa.” Ma fu nel 2007 che arrivò il riscatto, in una finale contro il Liverpool che sembrava scritta dal destino: “Dover rigiocare la finale due anni dopo fu un segno. Il primo gol di Inzaghi? Non era un piano studiato, ma successe anche in un derby. Il secondo sì, quello era pianificato con Kaká.”
Il potere (e il peso) delle decisioni
Parlando delle dinamiche che regolano il calcio moderno, Ancelotti ha espresso con lucidità un concetto sempre più attuale: “Allenatori e giocatori sono la parte più debole del sistema. Non decidiamo i calendari, non decidiamo nulla. E rischiamo di arrivare a giocare 80 partite l’anno.” Parole che sottolineano un disagio crescente tra chi vive il campo e chi ne regola le sorti da fuori.
Anche momenti controversi, come la rinuncia a giocare contro il Marsiglia sotto le luci del Velodrome per volontà della società, fanno parte di quel bagaglio di esperienze che Ancelotti porta con sé: “È stata una decisione da rispettare, ma l’abbiamo vissuta male.”
Un legame indissolubile
Con 15 trofei vinti da giocatore e allenatore rossonero, Carlo Ancelotti incarna lo spirito vincente del Milan. Il popolo milanista lo ama ancora visceralmente, e ogni sua parola accende il sogno di un possibile ritorno. Per ora restano i ricordi, ma anche quelli sanno riempire il cuore di chi ha visto in lui non solo un tecnico, ma un simbolo.
Don Carlo, maestro di stile e leggenda europea, continua a camminare nella storia con passo leggero. E il suo nome resta scritto, in rosso e nero, tra quelli che non si dimenticano.
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