Lo sfogo di Maldini a Repubblica: “Il mio addio? Dette tante falsità”

By Mario Labate -

Intervista lunga, di quasi due pagine, quella rilasciata da Paolo Maldini oggi a La Repubblica. L’ex dirigente rossonero parla del proprio addio al club di via Aldo Rossi, del rapporto difficile con Red Bird e del proprio futuro: “Ricordiamo sempre da dove siamo partiti. Nel 2018-19 avevamo una squadra avanti con gli anni e poco performante, Erano ormai sei anni che il Milan non si qualificava per la Champions League.Il valore complessivo della rosa era di circa 200 milioni e il monte ingaggi di 150. La ristrutturazione, con giovani giocatori, è stata fatta in 4 anni con una spesa al netto delle cessioni di 120 milioni, 30 a stagione e 15 per sessione. Il valore della rosa è passato a circa 500 milioni, il monte ingaggi è sceso il primo anno a 120 e poi a 100 per i tre successivi, anche se, come spiegavo nel piano strategico, il taglio degli stipendi aveva portato al mancato rinnovo di giocatori come Calhanoglu e Kessié, con i quali avremmo avuto un centrocampo tra i più forti d’Europa. dopo11 anni, una semifinale di Champions dopo 16 e un bilancio in positivo dopo 17 . Se si resta sempre sul filo, basta sbagliare una stagione per rovinare il lavoro fatto in quelle precedenti”.

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Falsità sull’addio suo e di Massara

“È stato veicolato il concetto che io e Massara siamo stati allontanati perché non condividevamo obiettivi e strategie di mercato: niente di più lontano dal vero. Anche da un punto di vista formale. Infatti, se parliamo delle condizioni di ingaggio, non ho mai avuto potere di firma neanche per i prestiti. Ogni giocatore che è stato preso è stato scelto da me, Boban e Massara, ogni scelta condivisa con l’ad e con la proprietà. Ma la firma era sempre di qualcun altro che avallava l’operazione. Più o meno sono 35-40 i giocatori del nostro ciclo e io non ho firmato i contratti per nessuno di loro, neanche per quelli in prestito, perché non avevo il potere di firma, non l’ho mai voluto. non sono state approvate: mi è stato detto di no tantissime volte. Capita. A volte mi dicevano semplicemente di no, a volte veniva ridimensionato il budget. Nelle riunioni sentivamo spesso: ‘Io non capisco niente di calcio’, ma alla fine c’ era sempre un però.Non sono nato ieri, ho abbastanza esperienza per capire che sia normale una certa differenza di vedute, a volte anche un’interferenza da parte della proprietà nelle scelte tecniche dell’area sportiva, che poi, nel caso specifico, è il core business dell’azienda, racconto da spostare gli equilibri finanziari. Tuttavia essere accusato di non avere voluto condividere non lo trovo affatto giusto. E poi io penso che le proprietà, specialmente se straniere, non hanno ancora raggiunto una piena consapevolezza di quali siano la mole e il tipo di lavoro svolti all’interno del club dalle varie aree, in particolare da quella sportiva, soprattutto nel mercato italiano. Preciso che tutti i giocatori che sono arrivati ​​sono stati approvati da me: non mi è stato mai imposto niente e nessuno, anche perché me ne sarei andato il giorno dopo. Per lo stesso ingaggio di Zlatan, a suo tempo, erano servite parecchie riunioni”.

Sull’acquisto di De Ketelaere

“Dopo avere acquistato circa 35 giocatori ci viene contestato l’ingaggio di De Ketelaere, che peraltro aveva 21 anni, un’età in cui non sempre l’adattamento è immediato. Chi ha giocato a calcio sa che non sempre si è strutturati a quell ‘età per sostenere un salto così importante come quello fatto da Charles: i ragazzi vanno aspettati, aiutati, coccolati e ripresi, continuamente. Chi pensa che il lavoro dell’area sportiva sia solamente quello di fare mercato sbaglia tutto: allenatori, calciatori e staff hanno bisogno di supporto continuo.Spesso si scommette solo sul talento senza sapere come svilupparlo, gli esempi più lampanti sono Chelsea e Manchester United: grandissimi investimenti sul mercato e gestione insufficiente portano a risultati molto scadenti.Non sempre il talento viene riconosciuto, quando si scommette su potenzialità di ragazzi giovani il rischio di insuccesso è molto alto.Dopo appena 3 mesi di lavoro, Boban e Massara ed io fummo chiamati a Londra da proprietà e Ceo e praticamente esautorati, delegittimati ad esercitare i nostri ruoli, perché i vari Leao, Bennacer e Theo non piacevano. Noi sapevamo che il Leao del Lille poteva diventare una stella, ma che gli sarebbe servito un percorso e la stessa cosa valeva per Theo, Ismael e per tutti quelli che sono arrivati ​​successivamente”.

Si racconta tutto e il contrario di tutto

“Con Leao, Theo Hernandez, Bennacer, Maignan, Kalulu, Thiaw, Tomori e molti altri, il vero lavoro è stato supportarli nel loro sviluppo. Se noi consideriamo che i giocatori non hanno bisogno di supporto, sbagliamo. Sinceramente, quando oggi leggo che Theo e Leao sono il problema del Milan, dico che al mondo si può davvero raccontare tutto e il contrario di tutto: sono due campioni, ma la loro crescita non è ancora completata e necessitano di qualcuno che li aiuti. per maturare e di persone che parlino con loro: è anche il bello del nostro lavoro, è il frutto della nostra esperienza. Spesso ho fatto mente locale, pensando a me quando ero calciatore: allora non si usava, ma avrei avuto tantissimo bisogno di supporto “.

Il bilancio

“Qual era per il 2023-24? Nelle squadre di calcio in genere la previsione di budget va affrontata intorno a marzo, ma il mio settore, tra l’altro il più importante, era l’unico per il quale non se n’era ancora parlato.Più volte ho chiesto un incontro per parlare di numeri e strategie, dato che non si può aspettare giugno per programmare il mercato.Poi, 4 giorni prima del licenziamento, Furlani mi ha comunicato molto imbarazzato che il budget sarebbe stato molto basso. A prescindere da come è finita, io sono contento per il Milan ei suoi tifosi per almeno due cose: il budget di spesa sul mercato, dopo la nostra partenza, è finalmente raddoppiato, al netto cioè della cessione di Tonali, e il monte ingaggi è finalmente cresciuto, in linea con il piano che avevamo inviato. Il nostro documento strategico deve essere diventato improvvisamente fonte di ispirazione”.

Sull’utilizzo di algoritmi

“La narrazione su questo tema mi ha fatto un pochino sorridere: non c’è bisogno di scomodare gli algoritmi per prendere Loftus-Cheek, Pulisic e Chukwueze, basta utilizzare per il mercato i soldi che una società che finalmente fattura 400 milioni merita. Non si possono paragonare le quattro annate precedenti con l’ultima, abbiamo combattuto sul mercato con armi diverse, ma mi fa piacere che adesso non ci sia più il freno a mano tirato. in qualunque attività, senza tuttavia pensare ragionevolmente che una società sportiva possa essere gestita da un algoritmo. Le molteplici variabili del calcio non lo consentirebbero. È forse per questo che ancora questo sport appassiona milioni di persone”.

Sostenibilità

“E’ stata una sfida. La sostenibilità mi ha conquistato: avevamo poche possibilità di riuscita, ma è stato molto sfidante tagliare del 30% il monte ingaggi, rinnovare la rosa e aumentare il valore dei calciatori arrivando allo scudetto ea 3 anni di Champions, dopo 7 senza. L’ho fatto con Boban e Massara, attraverso condivisione di principi, di conoscenza ed esperienza, e utilizzando anche strumenti, legati alle statistiche, che io e Zvone conoscevamo meno rispetto a Ricky. Pensiamo che siano parte di una decisione finale che deve essere presa da persone che hanno una visione completa”.

“Il club è stato venduto a 1,2 miliardi di euro e la nuova proprietà aveva il diritto di cambiare l’organigramma, ma sono importanti le modalità e tante cose non sono andate come sarebbe stato doveroso, per rispetto delle persone e dei loro ruoli. Ho dovuto discutere per trovare un accordo e per non rinunciare ai miei diritti, ma avevo detto subito a Furlani che l’ultima cosa che avrei voluto era un contenzioso con il club: vi rendete conto, gli ho spiegato, che sarebbe la seconda causa di una leggenda del cub al gruppo proprietario del Milan in due anni, dopo quella (persa!) con Boban? Una cosa è certa: il mio amore per il Milan sarà sempre incondizionato. Da figlio di Cesare. Da ex capitano. Da papà di Christian e Daniel, che al Milan sono passati. E poi anche da dirigente: sono stati cinque anni fantastici”.

Comunicazione studiata a tavolino

“Spesso si pensa che il pubblico non capisca e che si faccia condizionare dalla comunicazione, magari studiata a tavolino, ma per fortuna così non sembra. È inutile nascondere che tutti quelli che hanno avuto a che fare con la galassia Milan in questi anni siano stati indirizzati nel veicolare sui media compiacenti una certa storia: chi dice il contrario sa di mentire a se stesso. Io ho pensato agli interessi esclusivi della squadra (e perciò del club, dal momento che la squadra rappresenta l’asset principale di una società sportiva), credendo che i risultati avrebbero avuto la meglio su una narrazione proposta senza curarsi del fatto che corrisponda o meno alla realtà. E la verità è che spesso ex calciatori come me, Boban e Leonardo, hanno sempre esercitato il proprio ruolo in piena autonomia di giudizio, ma senza mai travalicare i rispettivi ambiti di competenza. Aggiungo che questa indipendenza deve sempre contraddistinguere noi stessi, che quasi certamente non potremmo farne a meno, anche quando assumiamo ruoli o responsabilità manageriali. Si chiama, se non sbaglio, professionalità”.

Sul rapporto con Cardinale

“Dice che io sono un individualista allergico al lavoro di gruppo? Confonde l’individualismo con la volontà di essere responsabile nel prendere le decisioni previste dal mio ruolo e magari nel pagarne le conseguenze, trascurando peraltro le prerogative che il contratto, che lui ha firmato, mi attribuiva. Io non mi sono mai sottratto al confronto: il confronto quotidiano stimola l’ingegno e apre a visioni diverse. Siamo spesso circondati da persone che ci danno sempre ragione: avere amici o colleghi che sfidano le tue certezze è una benedizione. In questi cinque anni ho capito che la capacità di assumere e gestire responsabilità personali, cioè individuali, non è così comune. Chi ha giocato a calcio ad alto livello ha meno paura di fallire, essendo stato giudicato per tutta la vita ogni tre giorni. Questo rappresenta un grande vantaggio e ha un grande impatto su un’azienda, ma può non essere gradito a chi non è aperto al confronto e non condivide neppure l’idea anche di rispondere dei propri errori, che per me è normalissima, sana, dialettica di ogni gruppo dirigente che si rispetti. Io ho sempre voglia di imparare: alcune cose del passato, ad esempio alcune critiche al Milan, oggi non le farei più, perché ho capito che cosa vuol dire gestire l’area tecnica di una società ambiziosa, a livello globale, nello sport professionistico. Non è facile avere come interlocutore un fondo americano o un Ceo sudafricano: la mia visione del calcio, rispetto al 2018, è stata stravolta. Ma lo ripeto: non ho mai avuto, né avrò mai paura del confronto”. (CONTINUA DOPO LA FOTO)

L’addio a Colazione

“Cardinale mi ha chiamato per colazione e dopo un commento sull’addio al calcio giocato di Zlatan mi ha detto che voleva cambiare e che io e Ricky Massara eravamo licenziati. Gli ho chiesto perché e lui mi ha parlato di cattivi rapporti con Furlani. Allora io gli ho detto: ti ho mai chiamato per lamentarmi di Furlani? Mai. C’è stata anche una sua battuta sulla semifinale di Champions persa con l’Inter, ma diciamo che le motivazioni mi sono sembrate un tantino deboli. Le cosiddette assumptions, gli obiettivi sportivi ed economici di inizio stagione, erano state clamorosamente superate. Ipotizzando l’eliminazione dalla Champions, qualificarsi per la Champions successiva e passare un turno in Europa League. Erano previsioni molto conservative, che tra l’altro sono stata riconfermate quest’anno anche dopo la campagna acquisti importante di quest’estate. Ma nella scorsa stagione, a livello economico, la semifinale ha portato almeno 70 milioni di introiti in più, oltre all’indotto derivante da sponsorizzazioni e ticketing, settori in cui abbiamo battuto record su record. Non è un caso che poi l’ultimo bilancio porti il segno positivo. Quel bilancio è riferito alla stagione 2022-2023. Siamo andati ben oltre il risultato sportivo, era impossibile imputarmi di non aver centrato gli obiettivi”.

Nessuna fiducia

“Cardinale l’ho incontrato di sfuggita in occasione di qualche partita di Champions, ma nell’arco di un anno ho avuto solo una chiacchierata su come andasse la gestione sportiva. Mi ha scritto 4 messaggi per i vari passaggi del turno, senza neanche chiamarmi. La prima cosa che mi ha detto, quando ci siamo conosciuti, è stata che dovevamo fidarci l’uno dell’altro, ancora prima di conoscerci di più, perché non avevamo tempo. Io mi sono fidato e sinceramente come è andata è noto a tutti. Io credo che la decisione di licenziare me e Massara fosse stata presa molti mesi prima. E a posteriori mi vedo costretto a riconsiderare il rapporto con alcune persone, che lavoravano con me e che sicuramente, mi riesce difficile immaginare il contrario, erano già al corrente di quella decisione. D’altronde il contratto, di due anni con opzione di rinnovo, mi era stato rinnovato solo il 30 giugno 2022 alle ore 22. Credo che all’epoca sarebbe stato troppo impopolare mandarci via, perché avevamo appena vinto lo scudetto”.

Sul progetto di Red Bird

“Cardinale voleva vincere la Champions. Io gli dissi che era necessario un piano triennale per pensare a quell’obiettivo e lui mi propose due anni più opzione di uno. In quel momento chiesi due anni: pensavo che ci sarebbe stato tempo, dopo, per discutere di piani. Se poi fosse stato contento, mi avrebbe proposto il rinnovo lui. A febbraio 2023 avevo presentato un piano triennale di sviluppo. In 3-4 mesi, da ottobre a febbraio, l’ho preparato con Massara e con un mio amico consulente. Erano 35 pagine: raccontavo i 4 anni trascorsi e gli obiettivi, secondo una strategia sostenibile economicamente, ma con la necessità di un salto di qualità. Risposte? Nessuna. Ho mandato il piano a Cardinale, a due suoi collaboratori molto stretti, con uno dei quali si tenevano call settimanali ogni lunedì alle 18, e a Furlani. Non ho ricevuto alcuna risposta. Forse non abbiamo ascoltato il campanello d’allarme perché eravamo concentrati sulle tante cose che il mio ruolo e quello di Massara prevedono”.

La storia del Milan va rispettata

“Il presidente ha dichiarato che senza di me adesso il gruppo di lavoro è unito? Mi dà fastidio come si raccontano le cose. Il Milan merita un presidente che faccia solo gli interessi del Milan, insieme a un gruppo dirigenziale che non lasci mai la squadra sola. La condivisione e il supporto sono principi da attuare nei momenti belli come in quelli brutti. In questi anni non ho mai percepito una chiara condivisione di che cosa voglia dire lavorare di squadra: non mi ha mai ha chiesto se ci fosse stato bisogno di due parole di incoraggiamento ai giocatori e al nostro gruppo di lavoro, in pubblico o in privato. Mai ho ricevuto supporto nei tanti momenti difficili. Anzi. In tribuna l’ho visto spesso andare via quando gli avversari pareggiavano o passavano in vantaggio, magari solo per non trovare traffico. Mentre me lo ricordo puntualissimo in prima fila, quando abbiamo vinto lo scudetto: per questo non so che cosa si sia voluto dire con l’espressione ‘gruppo unito senza’ di me. Ma è evidente che io ho un concetto diverso di condivisione e di gruppo. Posso dire che la stessa cosa è avvenuta anche con i due Ceo Gazidis e Furlani. E adesso leggo la rappresentazione di una nuova era, di un Berlusconi 2: un ripassino della storia italiana, politica e imprenditoriale degli ultimi 40 anni, forse farebbe bene a tutti. L’ho detto quel giorno stesso, prima del mio congedo: oggi comandate voi, ma per favore rispettate la storia del Milan”.

Il suo presente nella Uefa

“Resterò nel board Uefa di ex campioni e allenatori per le riforme tecniche del calcio. L’idea di Boban è azzeccata. Continuerò. Nel confronto tra arbitri, capi arbitri, ex calciatori e allenatori su determinate regole, mi ha impressionato la quasi unanimità dei calciatori, con grande sorpresa degli arbitri. Il distacco è evidente, la prospettiva è diversa, il calciatore capisce l’intenzionalità del gesto. L’esempio è il fallo di mano: il 95% di allenatori ed ex calciatori la pensavano alla stessa maniera. Io sono per interrompere le partite il meno possibile: lo spettacolo non è interrompere, però si deve imparare ad accettare anche l’errore. Quanto agli infortuni, si gioca troppo, ma la voce del calciatore non viene mai ascoltata”.

Il futuro in Arabia

“Io dirigente in Arabia Saudita? Per il mio lavoro le alternative al Milan sono molto limitate. Non potrei mai andare in un’altra squadra italiana, eventualmente valuterei solo l’offerta di una squadra straniera di alto livello. A me piace vincere e costruire. L’Arabia potrebbe essere una opzione stimolante, chissà”.

Stadio motivo di scontro

“E’ stato un motivo di scontro. Io non potevo mettere la faccia su un progetto da 55-60 mila posti, quasi tutti corporate e con pochissimi biglietti popolari. Non potevo lasciare un’eredità così alle nuove generazioni milaniste. Non potevo supportare questo piano. Ho lottato per fare capire che serviva uno stadio più grande e con parte di posti accessibili a tutti. La media di oltre 70 mila spettatori a San Siro, la scorsa stagione, dimostra che avevo ragione. Un nuovo San Siro moderno e accogliente è fondamentale. L’idea che lo stadio nuovo dia 80 milioni in più da investire sul mercato è da rivalutare, come dimostrano i numeri della stagione scorsa. Quando raccontavo le potenzialità e l’unicità che ha il Milan rispetto ad altri club, probabilmente suscitavo ilarità. Ma io so che è così. Se ci fosse la possibilità, e in questo il sindaco è assolutamente responsabile, lo stadio lo farei a San Siro, magari ancora con l’Inter. Dopo 5 anni non solo non c’è il primo mattone, ma non sappiamo neanche dove si farà lo stadio: non mi sembra un gran successo. Quella del nuovo San Siro sarebbe anche una grande occasione per la rivalutazione dell’area: è verde destinato ai cittadini di una zona di Milano che rischia l’abbandono. Milano, negli ultimi 10 anni, è ridiventata trainante in Europa perché abbiamo superato vecchie barriere mentali. Dobbiamo avere paura del degrado, non del futuro. L’attuale San Siro è iconico, ma rendiamoci conto che sono stati i grandi campioni che ci hanno giocato a renderlo tale. È ancora fantastico dal punto di vista sportivo, ma serve una nuova storia: il passato è passato, Milano ha sempre guardato al futuro”.

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