Sacchi sul primo posto del Milan: “Le idee contano più dei soldi”

By Dario Bombelli -

L’ex storico allenatore rossonero Arrigo Sacchi ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito alla situazione in casa Milan. Dalle idee di Pioli fino alla lotta Scudetto

Arrigo Sacchi, storico ex allenatore rossonero, ha commentato la situazione in casa Milan, intervistato dalla Gazzetta dello Sport. Queste le sue parole:

Poca spesa, massima resa – “Bene così, le idee contano più dei soldi. Vi racconto un aneddoto. Alla mia prima stagione da allenatore al Fusignano, mi mancava il libero. Andai da un dirigente, che io consideravo un maestro di vita, il mitico Alfredo Belletti, e gli spiegai il problema. Lui mi disse: “Che numero di maglia ha il libero?”. “Il 6”. Andò a prendere la maglia e dandomela concluse: “Adesso, se sei bravo, il libero lo costruisci con il lavoro e con le idee”. Non c’erano soldi, dunque non c’erano alternative. Quell’anno vincemmo il campionato”

Sull’ingegno al posto del denaro – “Proprio così. Dovrebbe esserci una regola che dice alle società: non si possono fare debiti. Per essere competitivi è importante avere intuizioni, passione, spirito di sacrificio. Ma in Italia siamo rimasti alla furbizia come qualità principale…”

In Italia conta la furbizia? – “Secondo me, sì. Qui da noi
bisogna vincere a ogni costo, anche facendo debiti, anche
giocando male, anche fregando l’avversario. Ma non è giusto. In
Spagna, ambiente che conosco bene, se vinci giocando male, il
pubblico ti fischia: l’ho provato sulla mia pelle. In Italia, invece,
ti applaudono. E la colpa, credetemi, è di tutti: presidenti,
dirigenti, allenatori, giocatori, tifosi e giornalisti. Con questo
andazzo, però, non si cresce: bravo il Milan che ha invertito la
rotta e sta cercando di diventare una squadra di livello
internazionale attraverso il rispetto di banali regole economiche, che applicherebbe ogni buon padre di famiglia”

E’ vero che fece vendere due giocatori che pensavano solo ai soldi? – “Mi capitò a Parma. Erano due ragazzi che erano con me da cinque anni, ma ormai nelle loro teste c’era soltanto l’ingaggio, non più il calcio. Li mandammo via e non ci furono conseguenze negative sul piano dei risultati, anche perché per me il leader è sempre stato il gioco, non il singolo giocatore”

Sull’episodio al Milan – “Già, dissi a Berlusconi che
andava benissimo la riserva di quello che avevamo mandato
via. Berlusconi mi disse: “Ma è meno bravo”. E io: “Sì, ma è più
affidabile. Lei lo vorrebbe un collaboratore poco affidabile?”.
“No”. “E allora perché lo vuole dare a me?”. Prima di scegliere
un giocatore, ho guardato la persona perché sono stato
convinto che i piedi li puoi migliorare, ma la testa no”

Sul contratto firmato in bianco – “Esatto. Non volevo dei giocatori avidi e dovevo dimostrare che non lo ero neanch’io. Il Milan, scegliendo elementi giovani e poco conosciuti, ha preso una direzione precisa: si punta sul gioco; se sifa male uno, entra un altro e non si fanno drammi; conta il collettivo, non il singolo.
Questa è la strada per arrivare lontano, altro che spendere soldi
per acquistare questo o quel campione, che poi magari non è
neanche un campione”.

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